Teatro

Orietta Notari: 'Devo tutto alla mia curiosità di bambina'

Orietta Notari
Orietta Notari

Abbiamo intervistato Orietta Notari, premio ANCT 2016 (Associazione Nazionale Critici di Teatro) come migliore attrice, in scena fino a domenica 11 dicembre al Teatro Carignano di Torino con lo spettacolo Ivanov, di Anton Cechov.

Donne concrete, dure loro malgrado e spesso solo in apparenza, sempre capaci di mantenere la rotta della barca o della nave che guidano tra le tempeste famigliari: Zinaida Savosna, la moglie del ricco Pavel, che presta soldi a Ivanov nel dramma di A. Cechov in scena allo Stabile di Torino fino a domenica 11 dicembre, con regia di Filippo Dini, ne riassume la complessità. Orietta Notari l’ha plasmata scavando sotto la scorza del luogo comune. Lo  ha fatto anche dando vita alla madre del ragazzino ritardato e miracolato dal suo amore per la musica, in Gyula, una piccola storia d’amore.

Sono questi i personaggi che hanno convinto l’Associazione Nazionale Critici di Teatro ad assegnarle un meritatissimo premio, lo scorso ottobre, ma non gli unici. Negli ultimissimi mesi,  nella sua  galleria, si sono aggiunti altri due ritratti: la moglie di Monsieur Jourdain ne Il borghese gentiluomo  di Molière, e la Giggia, la moglie di Steva ne I manezzi  per maja na figgia, cult di  Gilberto Govi che arriverà alla Corte di Genova il 27 dicembre, con regia di Juri Ferrini, dopo un’anteprima estiva la festival di Borgio Verezzi.
 

Dalla Russia a Parigi passando per Genova, dov’è nata e dove si è diplomata alla Scuola dello Stabile nel 1984: a che cosa deve questa sua capacità di dare un’anima a caratteri apparentemente ruvidi?
A un’esperienza che va da Sofocle a Shakespeare, da Brecht, a Pinter,  a Fassbinder e Miller, non lo nego. Ma dipende anche dall’osservazione, dalla mia curiosità di bambina. A Genova, nel quartiere di Sturla, dove vivevo, giocavo con le mie amichette e coltivavo una passione sempre più forte per il teatro. Osservavo le grandi interpreti, dal vivo e in televisione, e cercavo di capire il perché dei loro gesti, dei loro sguardi. Soprattutto, però, mi guardavo intorno: non mi sfuggiva niente di mia madre, di  mia zia, delle donne che giravano per le strade. Sono passati quasi  cinquant’anni ma le rivedo come allora, prima di andare in scena.

La sua decisione di diventare attrice ha sorpreso questo “mondo antico” che vedeva ruotare intorno alla sua infanzia?
Non poco: non sono una figlia d’arte ed è stata una scelta tutt’altro che scontata. Ho frequentato la scuola di recitazione dello Stabile dopo aver fatto  la maestra, per mantenermi . Nel frattempo mi ero anche iscritta all’università per accontentare i miei genitori. Ma in realtà, da quel momento la mia vita è stata tutta per il teatro.

"Giorni e nuvole", di Soldini, “Le ultime cose", di Irene Dionisio, presentato alla Mostra di Venezia,  e le fiction come "Distretto di Polizia" e "Don Matteo" sono tradimenti?
Partecipazioni, “camei”, quando ho avuto il tempo per farli. Il mio grande amore è il palcoscenico. Dicendo queste cose, non voglio essere etichettata come una vestale dell’arte. Sono single, mi dedico interamente al mio lavoro ma forse avrei potuto sacrificare la carriera per amore, chissà. Certe scelte si fanno con la regia del destino.

C’è una regia del caso anche nel suo antidivismo sul quale anche i colleghi hanno scherzato al momento del Premio?
Direi che è frutto della mia timidezza, della mia natura schiva e degli insegnamenti che ho ricevuto: a teatro, come nella vita, non ho mai fatto carte false per un ruolo da protagonista.  Non esistono personaggi di secondo piano, ma interpreti troppo superbi per esserne all’altezza.

Il pubblico nelle ultime stagioni l’ha vista in sintonia con molti registi giovani, da Giusta, a Binasco, da Dini a Ferrini.
Non dimentico però i miei grandi maestri: Laura Messeri, mia insegnante alla scuola di recitazione dello Stabile di Genova, Benno Besson, Luca Ronconi, che mi ha voluta accanto a Mariangela Melato in Nora alla prova. Il primo a credere in me è stato Marco Sciaccaluga, che mi ha scelto per I due gemelli rivali, quando ero ancora un’allieva. Anche i percorsi più tranquilli hanno il sapore di favola qualche volta: tutto è cominciato con la classica sostituzione. Da lui ho imparato tanto. E anche le scenografie di sua moglie, Valeria Manari, che ora non c’è più, mi hanno sempre aiutato a entrare nella parte.

Nel suo percorso di interprete non sono mancate donne  trasgressive, come le “casalinghe disperate” raccontate da certi drammaturghi inglesi contemporanei o  l’ex carcerata senza riscatto in “Questa immensa notte”.  Ma in quest’ultima stagione  ha modo di declinare una certa  femminilità che le appartiene in modo particolare e in qualche modo fa anche parte delle sue radici…
Lo ammetto: si tratta di una “genovesità”  che, staccandosi  dai luoghi comuni e dal bozzettismo, si ricongiunge con caratteri di diverse latitudini.  Zinaida Savisna in Ivanov,  così come Madame Jourdain nel Borghese, mi  hanno aiutata a interpretare  la Giggia dei Manezzi, che si fa in quattro per combinare alla figlia un matrimonio altolocato, senza imitare la sua prima grande interprete, Rina Govi.

Si potrebbero pensare soltanto  come  fredde, intriganti, calcolatrici, per certi versi “macchiette”. Invece?
Hanno un cuore, nella consapevolezza che deragliare è un lusso e uno spreco. E che tirar dritto è una fatica,  sopportabile con un pizzico di autoironia.